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"Ora centomila migranti devono lasciare l' Italia. Multe salate per chi non collabora". Roberto Zaccaria, presidente del Comitato Rifugiati, commenta la sentenza della Corte di Giustizia Europea. "Ora possiamo cambiare Dublino" *

Una sentenza “molto positiva” perché obbliga gli stati dell’unione a “farsi carico del ricollocamento dei rifugiati” e perché “ribadisce uno dei principi vincolanti dell’Unione: la solidarietà”.

Il professore Roberto Zaccaria, ex parlamentare Pd, docente di diritto costituzionale e ora presidente del CIR (Comitato italiano per i rifugiati) legge con rigore e attenzione il dispositivo con cui la Corte di giustizia europea questa mattina ha bocciato e respinto integralmente i ricorsi di Slovacchia e Ungheria, a cui si sono aggiunti quelli di Polonia e Repubblica Ceca, che avevano detto no alle cosiddette “rilocation”,  il meccanismo di distribuzione nei paesi europei di rifugiati e richiedenti asilo sbarcati in Italia e Grecia non come destinazioni finali ma perché primi porti utili dove mettersi in salvo in fuga da guerre, persecuzioni, carestie. Il meccanismo era stato approvato dalla Commissione europea nel 2105 a fronte di flussi migratori eccezionali, doveva durare due anni e distribuire equamente nei 25 paesi dell’Unione 120 mila persone. Al 28 agosto 2017, a pochi giorni dall’esaurimento del piano, l’Italia ha ricollocato solo 8220 stranieri. La Grecia anche meno.

Professore, come giudica questa sentenza?

“Tecnicamente è molto positiva perché consente di riprendere il meccanismo del ricollocamento a Italia e Grecia per fronteggiare il flusso straordinario di sbarchi registrato in questi anni. Politicamente mi faccia dire che leggere il dispositivo è motivo di grande soddisfazione perché viene ribadito e rilanciato il principio di solidarietà, uno dei principi fondanti dell’Unione di cui troppo spesso in questi anni ci siamo dimenticati nelle varie discussioni politiche. La Corte di giustizia, il massimo organo giurisdizionale dell’Unione, ribadisce e rilancia invece gli articoli 78 e 80 del Trattato. Questa è, per me, la vittoria più bella”

Cosa cambia per l’Italia? 

“Due cose, soprattutto. La prima: i ricollocamenti che finora hanno camminato con molta lentezza, adesso dovranno procedere in modo spedito. Non ci sono più alibi né attenuanti, la Corte ha riconosciuto l’eccezionalità dei flussi e la necessità di aiutare i paesi più esposti, cioè Italia e Grecia, anche in deroga ad altri trattati, in questo caso Dublino che obbliga a svolgere le procedure di asilo nel paese di arrivo. La seconda è che la sentenza ribadisce e dona nuovamente vigore al principio fondante della solidarietà che invece era stato messo in discussione. La Corte di giustizia è l’organo più autorevole dà così ragione all’Italia che a questo principio ha sempre ispirato le sue politiche migratorie. Potremmo semplificare dicendo che siamo stati ampiamente promossi dall’Europa”.

Solo ottomila ricollocamenti. Colpa dell’Europa egoista o anche dei nostri farraginosi meccanismi di identificazione?

“Sulla scarsa collaborazione abbiamo detto. Non c’è dubbio poi che la colpa è anche di meccanismi lenti. Ma aggiungo la difficoltà di trovare le affinità tra la disponibilità degli Stati e le richieste dei rifugiati. Per affinità intendo che ciascun richiedente cerca di andare dove sono familiari, parenti, amici e tende a riprodurre nei paesi di destinazione una propria una propria comunità. Sono richieste legittime, di cui dobbiamo tenere conto almeno in prima battuta”. 

In Italia impieghiamo anche tre anni e quattro grado di giudizio, uno amministrativo e tre giurisdizionali, per concludere l’iter di riconoscimento dello status di rifugiato o altre forme di protezione umanitaria. E’ stato costituzionalmente corretto abolire un grado di giudizio per accelerare le procedure?

“I tempi sono certamente troppo lunghi, in linea purtroppo con quelli della nostra giustizia, ma anche da questo punto di vista abbiamo dovuto fronteggiare una vera emergenza a cui non eravamo abituati. Sul decreto Minniti, che è legge e che ha tolto un grado di giudizio, c’è tuttora molto dibattito. Come costituzionalista dico che la nostra Carta prevede due gradi di giudizio. Dunque, non è questo che mi preoccupa. Piuttosto ci stiamo interrogando sulla garanzia della pienezza del contraddittorio. Solo una verifica in sede applicativa ci dirà se è sufficiente ascoltare il richiedente solo una volta in sede amministrativa e lasciare al giudice solo la videoregistrazione”.

Professore, per accedere alla rilocation basta la richiesta o è necessario aver esaurito l'iter? Questo è un punto molto importante, che fa la differenza.

“Non ci sono dubbi:  basta la richiesta.  La sentenza dice chiaramente che vanno agevolati nell’accoglienza coloro che hanno fatto domanda e che provengono da paesi nei cui confronti è alta la percentuale di accoglimento”. 

Il commissario Avramopoulos è stato chiaro: multe salatissime per i paesi che continueranno ad opporsi. Ungheria e Slovacchia insistono nel dire che non faranno accoglienza. Il primo ministro ungherese ha definito “oltraggiosa” la sentenza della Corte. Che possibilità reali esistono per attuare i ricollocamenti?

“Totali e assolute. La sentenza è la premessa giuridica per avviare la procedura di infrazione e sanzionare i paesi ribelli con multe salatissime, vere e proprie batoste finanziarie. Non ci sono più scuse nel dire no. A meno di non volersi mettere fuori dall’Europa. Ma quei paesi hanno bisogno dell’Europa e dei fondi che ricevono”.

Prima l’Europa o l’autonomia degli stati?

“Quando è dimostrato lo stato di necessità, il regolamento europeo viene prima dell’autonomia degli stati. Questo dice la sentenza di oggi”.

La sentenza supera il trattato di Dublino che vincola gli arrivi al primo paese di sbarco?

Nel recente periodo ci sono vari elementi che vanno in questa direzione. Questa sentenza è uno di quelli ma non è di per se risolutiva. La ricolation è un’eccezione in presenza di flussi straordinari, la Corte di giustizia lo ribadisce. Per il superamento di Dublino serve un nuovo regolamento. Le parole di Merkel e Macron vanno in questa direzione”. 

Si profila uno scontro tra la Commissione e alcuni paesi membri. Cosa c’è in palio?

L’essenza stessa dell’Unione europea. Se non si rispetta il principio fondante della solidarietà, va in crisi l’Europa. Poi io vedo anche un altro tema, quello dell’Europa a due velocità e non solo dal punto di vista economico: è chiaro che i paesi grandi, con più tradizione,  hanno una visione più larga e aperta. I piccoli sono più egoisti. La buona politica deve lavorare su questo e trovare una sintesi”.


Intervista pubblicata il 6 settembre su Tiscali.it

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