Ecco perchè è urgente riapire l'ambasciata al Cairo Per tutelare i nostri interessi nazionali. E perchè dalla diplomazia può passare tutta la verità per Giulio Regeni. Le ritorsioni finora hanno prodotto poco*
C'è una famiglia, quella di Giulio Regeni, e con lei un paese intero, l'Italia, che chiedono verità e giustizia. E c'è un'intera area geografica, il nord Africa ma anche il Medioriente, che per le sue implicazioni geopolitiche deve essere stabilizzata e per farlo ha bisogno di attori in campo chiari e ben riconoscibili. C'è un convitato di pietra nel dibattito in aula alla Camera e al Senato che ha appena votato la nuova missione in Libia, che contiene parte delle risposte anche se non forse la soluzione alle due premesse iniziali. Qualcuno, timidamente, gli dà corpo e nome. "Dobbiamo riaprire la nostra ambasciata in Egitto e inviare subito in sede l'ambasciatore" trova il coraggio il deputato centrista Lorenzo Dellai. "Magari con un mandato particolare, finalizzato sia ad ottenere verità e giustizia per Giulio Regeni, sia per una interlocuzione anche conflittuale in ordine agli interessi italiani ed europei nell'area". Altri, molti, in modo assolutamente bipartisan anche nel Pd, lo dicono sottovoce. Il presidente della Commissione Difesa del Senato, Nicola La Torre (Pd), lo dice da mesi. Anche Pierferdinando Casini, presidente commissione Esteri al Senato, ne ha parlato nelle dichiarazioni di voto finali. Tutti inascoltati. Almeno ufficialmente.
L'Egitto gioca un ruolo decisivo nella partita geopolitica che passa dalla Libia, e quindi riguarda l'immigrazione, ma anche dalla Siria, e quindi riguarda la guerra a Daesh e alla stabilizzazione della zona. E l'Egitto è anche la cartina di tornasole per leggere le improvvise accelerazioni e i dietrofront della Francia di Macron. In Egitto l'Italia non ha rappresentanza diplomatica da marzo 2016, pochi giorni dopo il ritrovamento del corpo di Giulio Regeni e l'inizio di una serie di bugie e depistaggi che nonostante le promesse di collaborazione giudiziaria, hanno impedito finora di trovare mandanti e aguzzini del giovane ricercatore universitario friulano. Il ritiro dell'ambasciatore è stato il segnale inequivocabile della rottura di rapporti diplomatici e politici con al Sisi almeno fino all'individuazione dei responsabili del massacro e delle torture cui è stato sottoposto per una settimana Giulio Regeni.
E però, poi, in questi sedici mesi la verità non ha fatto molti passi avanti. Nel frattempo il governo di Al Sisi fa blocco con il generale Haftar, il governo di Tobruk in quel della Libia, ed è allineato con la Francia su strategie che riguardano fonti energetiche e non solo. L'Italia, che pure è l'unica ad aver aperto l'ambasciata in Libia, si trova nella curiosa situazione di essere sola, senza ambasciatore e la rete di relazioni che ogni rappresentanza diplomatica si porta dietro, a gestire un tesoro. Nel 2015, infatti, l'Eni ha individuato un giacimento nell'offshore egiziano (Zhor) con un potenziale di risorse fino a 850 miliardi di metri cubi di gas. "Un successo esplorativo - spiegano fonti dell'Eni - che offrirà un contributo fondamentale nel soddisfare la domanda egiziana di gas naturale per decenni. Non solo: lo sfruttamento del giacimento potrebbe essere operativo entro la fine dell'anno". Anche questo, un record di efficienza e la riprova dell'eccellenza Eni.
I francesi sono completamente fuori da questo business, non senza qualche rammarico. Si completa cosi il paradosso: Italia che cerca di giocare un ruolo esclusivo in Libia, potrebbe giocarlo in un'area più vasta e certamente strategica sotto tanti punti di vista. Da posizione di forza ci troviamo invece in un quadro di incertezza: l'Eliseo gioca a convocare Haftar e Serraj, annuncia tregue che non esistono, hot spot in terra libica che non sono neppure immaginabili. Anche lo schiaffo sui cantieri STX France ci indebolisce nel Mediterraneo. Il filo diretto Eliseo-Haftar-Cairo completa il quadro.
Allora è necessario aprire nuovamente e il prima possibile la nostra sede diplomatica al Cairo. Per almeno tre motivi messi in fila in queste settimane dal generale Leonardo Tricarico, che a palazzo Chigi ha ricoperto il ruolo di consigliere militare quando premier era Massimo D'Alema. Uno: "La speranza della verità su Giulio Regeni resta viva solo se sono attivi i canali e l'interlocuzione con il governo del Cairo. Del resto, abbiamo visto che dopo sedici mesi la ritorsione (del ritiro dell'ambasciatore, ndr) non ha prodotto i risultati sperati". Secondo: "L'Egitto ha un ruolo di primo piano nel decidere gli equilibri nel teatro libico e mediorientale. Non possiamo non avere la sede diplomatica". Terzo e ultimo punto: "A parte il bacino di Zhor, sono un centinaio le aziende che lavorano in Egitto e qualche decina di migliaia gli italiani che vivono lì". Tutti interessi nazionali che devono essere tutelati. Con una sede diplomatica e un ambasciatore.
*Questo articolo è stato pubblicato su Tiscali.it il 3 agosto
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