Killer di Budrio: il giallo della tabaccheria. La rete dei complici. Per i cc Igor è ancora nella regione del Delta del Po*
Gli anziani tra Budrio e Portomaggiore dicono, con la faccia di chi la sa lunga, che «è andato via da un pezzo». I bar però espongono cartelli, «caffè gratis per i carabinieri» perchè comunque è bene che le divise non lascino la zona. Il sistema dei media - dopo i primi giorni in cui tutti erano cacciatori e attori appassionati con tanto di voci affannate e stivaloni ai piedi in segno di partecipazione di una delle più gigantesche cacce all'uomo viste in Italia - hanno iniziato a parlare con sarcasmo del fantasma di Igor, complice anche il luogo delle ricerche che chiamano oasi di Marmorta e Campotto ma in realtà sono 40 chilometri quadrati di casolari isolati, cascine abbandonate, fiumi, rivoli d'acqua, stagni, paludi, nebbia e una vegetazione così fitta che entrano solo i reparti speciali. Lo chiamano Delta del Po. E non ha nulla di bucolico.
Ora che sono passati tre mesi – il primo aprile l'omicidio di Davide Fabbri, il tabaccaio di Budrio, l'8 aprile quello della guardia ambientale Valerio Verri - e non c'è traccia di Igor, Norbert più i circa dieci alias con cui si è travestito questo criminale dell'est di cui si favoleggia anche un passato nelle milizie serbe, è partita la caccia al contrario. Contro i cacciatori. Contro lo Stato incapace di trovarlo, quindi di arrestarlo e di garantire sicurezza. L'obiettivo è facile, il refrain anche: la sicurezza colabrodo del nostro paese. Il comando generale dell'Arma ha investito molto su questa operazione. Fa male vedere l'ironia e il sarcasmo dei media, le cartoline firmate Igor inviate al comando di Ferrara, il drone da 10 mila euro che sbatte contro un volatile e scompare nella palude. La tensione sale. Ma sarebbe sbagliato, oltre che inutile, farla pagare agli uomini sul campo.
La caccia a Igor-Norbert non può dirsi, al momento, la storia di un successo visto che del criminale, oggettivamente, sono state perse le tracce. Ma sarebbe sbagliato liquidarla come un fallimento. «La fuga di Igor non è la fuga perfetta» taglia corto uno degli investigatori dell'arma dei carabinieri addetti al dossier. «La caccia continua e noi lo stiamo ancora cercando qui. Tutte balle quelle che dicono che è all'estero. In Calabria abbiamo cercato latitanti convinti che fossero in sud america. Poi li abbiamo trovati in un covo a 500 metri».
Da un mese circa è scattata quella che viene chiamata la «Fase 2», un dispositivo ridotto ma sempre operativo come nei primi giorni. Nella caserma dei carabinieri di Molinella, base logistica delle operazioni, sono state disegnate mappe di ogni genere e il territorio, i 40 kmq, è stato diviso in piccoli quadranti di cui ormai si conosce ogni arbusto e sentiero, la geografia degli stagni e delle paludi, l'ubicazione di cascine e casolari. «Abbiamo – racconta l'investigatore - persino scoperto la rete dei bunker usati dai partigiani nella seconda guerra mondiale, gli anziani della zona ne avevano notizia e ci hanno aiutato». Quaranta chilometri quadrati dove solo i reparti speciali sono potuti entrare.
Nella «Fase 1» il dispositivo contava almeno 800 uomini (comprese le forze locali) tra cui reparti come le Sos (squadre di supporto operativo), i cacciatori di Calabria, gente abituata a seguire e fiutare le tracce dei boss dell'ndrangheta in fuga nell'Aspromonte, persino i Gis, tutti equipaggiati con armi automatiche da guerra, fucili da cecchino e visori infrarossi per lavorare anche la notte. E poi posti di blocco a piantonare una gigantesca zona rossa sorvolata da elicotteri a volo basso.
Il lavoro è stato diviso in due parti: i gruppi speciali che setacciavano le paludi e hanno perlustrato e ridisegnato l'area in ogni anfratto; gli investigatori che hanno analizzato i dodici anni di vita in Italia di Igor/Norbert. La certezza sulla sua identità, con la patente dei Ris, è arrivata a circa un mese dai fatti: il fantasma si chiama Norbert Feher, ha 41 anni, è di origini serbe, ha lasciato la Serbia nel 2005 (perchè accusato di rapina e violenza sessuale) ed è arrivato in Italia dove ha iniziato un'attività di rapine tra Bologna e il ferrarese. L'arrestano la prima volta nel 2007, l'arrestano di nuovo nel 2010, esce di nuovo e continua a fare rapine e furti. Fa anche in tempo a farsi una banda. Tra dieci giorni, il 13 luglio, a Ferrara inizia il processo ai suoi complici: Ivan Pajdek, Patrick Ruszo. Igor, appassionato di Facebook, è contumace.
«Una delle tante bande dell'est che si sono trasferite in Italia, tra la costa romagnola e il nord est. Questa roba non finisce sui giornali ma è un grosso problema di ordine pubblico e sicurezza» dice l'investigatore. Che aggiunge: «Quando sarà finita questa storia, perchè Norbert Feher è nella tacca di mira e prima o poi pagherà, ne sentirete delle belle in quanto a complici e rete di sussistenza di cui quest'uomo ha beneficiato negli anni». Perchè, ad esempio, il primo aprile Igor/Norbert andò proprio in quella spoglia tabaccheria di Budrio? Non era certo il luogo più idoneo per una rapina. Altri affari? Appuntamenti? Ricettazione, magari. Si parla di orologi.
Igor/Norbert è tutt'altro che un fantasma. È un latitante in Italia da almeno 12 anni, anni in cui tra carcere e rapine, si è creato una rete tale da garantirgli «mesi di latitanza» grazie a covi, appoggi e schede telefoniche. Gli investigatori lo cercano ancora qui, tra Budrio e Molinella, Argenta e Portomaggiore, tra Bologna e Ferrara.
La domanda, quindi, non è tanto perchè non lo prendono adesso. «Lo prenderemo, è nella nostra tacca di mira» insiste l'investigatore. La domanda è perchè non è mai stato effettivamente espulso. Perchè Igor/Norbert è potuto restare in Italia tutti questi anni. È su questo che cresce l'insicurezza nel paese.
*Questo mio articolo è uscito su Tiscali.it il 3 luglio 2017
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