Consip: indagati anche Woodcock e la giornalista Sciarelli. Ma il mistero resta Scafarto, il Noe e la guerra tra spie
È sempre una brutta
notizia quando un magistrato finisce indagato. Perchè un magistrato
è lo Stato. E lo Stato abbiamo bisogno di immaginarlo come la moglie
di Cesare: neppure mai sfiorato dal sospetto. Quindi dobbiamo essere
convinti che accadrà quello che il pm di Napoli Henry John Woodcock
promette: «Sono amareggiato, per me è un momento molto difficile,
ma sono certo che riuscirò a fugare ogni dubbio, a chiarire la mia
posizione e a dimostrare che la mia attività è sempre stata
ispirata a servire la giustizia rispettando le regole».
Woodcock, il magistrato
che ha firmato alcune delle inchieste più clamorose degli ultimi
anni perchè sempre con uno sfondo politico diventato in fretta il
soggetto di quelle indagini, è indagato dai colleghi della procura
di Roma per rivelazione di segreto d'ufficio. Di aver cioè rivelato
parti importanti e segrete dell'inchiesta Consip ad alcuni
giornalisti. Con il magistrato è indagata la sua compagna e
giornalista Federica Sciarelli, da anni anima, motore e volto di “Chi
l'ha visto”, uno dei programmi di maggior successo nel palinsesto
Rai. A Sciarelli la procura di Roma contesta il concorso nel reato.
Le è stato sequestrato il telefonino e l'ipotesi è che sia stata
lei a fare da tramite tra Woodcock e alcuni giornalisti de Il Fatto
quotidiano che dell'inchiesta Consip sono stati i mattatori fin dallo
scorso autunno. I primi, ad esempio, ad allungare sospetti sul
coinvolgimento del cosiddetto “Giglio magico renziano”. E a
cavalcare il coinvolgimento di Tiziano Renzi.
Il giornalista de Il Fatto
Marco Lillo che all'inchiesta ha dedicato un best seller, dice che la
Procura di Roma «stavolta ha preso un grosso e brutto granchio».
Spiega la sua versione sul sito del giornale: il contatto telefonico
tra lui e Sciarelli c'è stato, e anche più d'uno, ma sempre in via
di amicizia. Nella fattispecie, per la fuga di notizie del 21
dicembre 2016 (quando Lillo scrisse che erano indagati Lotti, il
generale comandante dell'Arma Tullio del Sette e il generale
Saltalamacchia), Lillo spiega che è vero che c'è stato un contatto
con la Sciarelli ma solo perchè «cercavo Woodcock e non lo trovavo.
Ma io le notizie le avevo già e certo non dico come». Lillo chiede
di essere sentito dai pm romani perchè Sciarelli e Woodcock «sono
innocenti».
Dunque prende corpo un
nuovo filone d'indagine nell'inchiesta Consip: la fuga di notizie sul
fronte dei giornali, storia diversa dalla fuga di notizie
istituzionale (indagati Lotti, Saltalamacchia, Del Sette), dalla
corruzione (Romeo e Gasparri), dal traffico illecito di influenze
(Tiziano Renzi, Carlo Russo, Italo Bocchino) e, infine, dai falsi
documentali e ideologici che la procura di Roma contesta al capitano
Scafarto, dominus dell'inchiesta, che avrebbe manomesso l'indagine
pur di arrivare al livello politico della corruzione.
A meno di non dimostrare
altre ipotesi che fanno tremare i polsi, il punto più delicato è
importante da chiarire resta proprio quello del capitano Gianpaolo
Scafarto, per due anni e fino al primo marzo il responsabile
dell'inchiesta Consip, uomo di fiducia del pm Woodcock ma anche
allievo di Sergio De Caprio, che quando era Capitano, nome in codice
Ultimo, arrestò Totò Riina e che dopo una lunga permanenza, non
senza polemiche, nel Noe è diventato colonnello, ma mai generale,
fino a transitare a gennaio 2017 all'Aise, i servizi segreti esterni.
Ecco, parte dell'indagine
Consip passa anche dalla storia del Noe, da equilibri e risentimenti
interni, e da una guerra di correnti dentro l'Arma e nei servizi
segreti. I pm romani accusano Scafarto di aver manipolato più volte
verbali e riscontri investigativi: nell'informativa madre
dell'inchiesta ha scritto e motivato con parole forti che «i servizi
segreti (Aisi, ndr) stava seguendo il Noe mentre indagava sugli
uffici di Romeo a Roma»; ha attributo a Romeo una frase intercettata
da cui emergeva che aveva incontrato Tiziano Renzi a riprova di un
patto tra di due per favorire ditte amiche: tutti elementi smentiti
non solo dagli stessi investigatori del Noe ma anche dalle verifiche
fatte dalla procura di Roma. Anche altre intercettazioni sono state
“fraintese”. E, soprattutto, Scafarto avrebbe, secondo l'accusa,
inviato a colleghi in servizio all'Aise, l'altra agenzia di
intelligence, stralci dell'inchiesta Consip. Sarebbe accaduto a
settembre 2016 e il 3 marzo scorso, due giorni dopo l'arresto di
Romeo, in un momento delicatissimo dell'inchiesta che occupava tutte
le prime pagine dei giornali e dei tg. Entrambi gli invii tramite
posta elettronica portavano la dicitura: «Per il Capo». Chi è il
Capo a cui i due marescialli destinatari delle mail dovevano
inoltrare le informative riservate su Consip? Ma soprattuto, l'invio
è avvenuto su richiesta del presunto “Capo” o era solo un modo
per compiacerlo? E, nel caso, perchè?
Sono molte le domande a
cui Scafarto deve rispondere. Per ora si è avvalso, due volte su
tre, della facoltà di non rispondere.
Intanto, mentre pubblico
questo post, in procura a Roma sono in corso nuovi interrogatori. Nel
tardo pomeriggio il procuratore Giuseppe Pignatone, l'aggiunto Ielo e
il pm Palazzi hanno sentito nuovamente il generale Alessandro Sessa,
vicecomandate del Noe, indagato per depistaggio per la fuga di
notizie istituzionale. Contro di lui una chat diretta via whatsapp
con lo stesso Scafarto. Il 7 luglio è in calendario
l'interrogatorio di Woodcock.
I colpi di scena non
finiscono certamente oggi. Quello di oggi, anzi, era nell'aria da
settimane. Almeno da metà maggio quando Scafarto ammise davanti ai
pm romani: «Fu Woodcock a chiedermi di dedicare un capitolo
dell'informativa agli 007». Per ora gli unici 007 coinvolti sono
però quelli a cui Scafarto ha inviato materiale riservato.
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